La nostra amata disciplina, e cioè la pesca subacquea, è stata ribattezzata in tempi molto recenti in PESCA IN APNEA proprio per valorizzare e sottolineare il fatto che la nostra attività viene esercitata UNICAMENTE con le nostre forze e capacità fisiche.  Infatti, nonostante la pesca subacquea effettuata con l’ausilio di apparecchi respiratori sia stata proibita nel nostro Paese nell’ormai lontano 1980, unitamente alla pesca notturna, tutt’oggi, la domanda più ricorrente che mi capita di sentirmi fare mentre parlo di pesca sub è:  ma scendi con le bombole, vero…? In Francia, Spagna e Italia i primi passi della pesca sub cominciano a muoversi, comunque, negli anni successivi al dopoguerra, grazie ai primi mitici pionieri che, sfidando un mondo completamente sconosciuto, andavano persino contro la medicina dell’epoca:  si riteneva, infatti, che il corpo di un uomo immerso, sarebbe  “imploso” oltre i 25/30 metri di profondità… mitica fù la scommessa, che vinse, del grande Raimondo Bucher con il palombaro che lo aspettava a 30 metri di profondità con un oggetto da recuperare!  Un piccolo riconoscimento a questi  “eroi” del passato è doveroso perchè, senza di loro, oggi noi, non potremmo godere delle meraviglie del mare…

Cronologicamente parlando, la pesca subacquea è nata con la tecnica di una specie di “surrogato” della moderna e più evoluta “pesca in caduta”. Potremmo dire come una specie di inseguimento ai pesci, da parte del “cacciatore sub” (così eravamo definiti ) con il “coltello tra i denti!”. Infatti i pescatori, peraltro sprovvisti di muta e armati di stridenti fucili a molla che sparavano  “al rallenty”,  si limitavano ad un approccio diretto ai pesci, anche se  l’ abbondanza di prede e la loro fiduciosità nei confronti dell’uomo immerso facevano sì che anche in pochi metri di profondità si potessero effettuare carnieri spettacolari…(altri tempi!). Arrivando ai giorni nostri, constatiamo che in effetti le tecniche di pesca più praticate sono aspetto e agguato.  Ma qual’è la tecnica che per decenni è stata praticata dalla quasi totalità dei sub e portata in trionfo nelle competizioni di tanti anni fà da campioni del calibro di Claudio Ripa, Carlo Gasparri, Massimo Scarpati ecc.  e in quelle dei nostri giorni  dai vari mostri sacri come Mazzarri, Amengual, Carbonell, Bardi, Bellani, Riolo ecc.?

LA PESCA IN TANA

Molti giovani che iniziano a pescare al giorno d’oggi non conoscono nemmeno le basi della pesca in tana che, pur essendo forse  meno  spettacolare rispetto ad un aspetto condotto sul cappello di una secca con il contorno di una mega ricciola in avvicinamento, é comunque la tecnica con cui evitare uno spiacevole cappotto quando al libero non si vede una “coda” o quando la morfologia del fondale consente di ottenere dei risultati solo facendo il “minatore”.

Il metodo migliore per  “carpire” i segreti della pesca in tana, se non si ha la fortuna di pescare con un compagno più esperto, è quello di dedicare e impostare solamente su questa tecnica tante giornate di pesca.  Infatti bisogna avere molta pazienza e molta memoria “fotografica” per cogliere ogni più piccolo particolare apparentemente insignificante. Ci sono campioni del Gotha dell’agonismo nazionale e internazionale che fra mille massi e anfratti riconoscono quello “abitato”! Come facciano è un mistero, ma sicuramente l’elemento fondamentale è l’esperienza,  magari acquisita dall’esempio di veri e propri maestri (come ad esempio nel caso del grande Pedro Carbonell che è  “cresciuto” fra le braccia di suo zio “marziano” Josè Amengual, entrambi  titolari di tre titoli iridati… ma senza dimenticare il nostro mitico Renzo Mazzarri, anche lui a quota tre!), oppure maturata da centinaia di ore di mare, tenendo comunque presente che in molti casi gli atleti più forti sono dei professionisti, nel senso vero e proprio della parola, che vivono pescando e vendendo il pesce, con regolare iscrizione alla camera di commercio, con tanto di tasse da pagare e non come tanti  “dilettanti” che in nome della sportività ne fanno, abusivamente e vigliaccamente, un vero e proprio lavoro…

Fino a quando “butteremo” un occhio fra una tana e l’altra ogni tanto, fra un aspetto e un agguato, non riusciremo mai a  “maturare”  la vera padronanza della pesca in tana. Bisogna iniziare innanzitutto ad una profondità a noi agevole ed esplorare tutte le tane e gli anfratti possibili, in modo da avere a disposizione quante più situazioni diverse. Le tane hanno forme e morfologia diverse  in base al tipo di fondale: infatti possiamo distinguere diversi tipi di tane:

1) Tane con il fondo sabbioso:  sono quelle tipiche dei fondali misti alga-sabbia o in alcuni tipi di grotto basso.  Sono frequentate da molte specie:  Orate, saraghi, corvine e cernie non molto grosse. Quando si spara ad una preda la visibilità si azzera, ma se il fondo non è fangoso dopo pochi minuti si può ritentare un altro colpo.

2) Tane sotto enormi lastroni:  sono quelle tipiche di alcune zone della Sardegna.  Sono la “casa” per eccellenza di cernie, a volte, di dimensioni  “preistoriche”  ma che purtroppo si trovano ormai a profondità alla portata di campioni di assetto costante! Qui si possono incontrare anche i famosi “voli” di corvine anche di grosse dimensioni, nonchè saraghi, mostelle, gronghi e capponi. L’acqua è quasi sempre limpida, per cui la visibilità resta ottimale e si possono scegliere con calma le prede più corpulente.

3) Tane formate da piccoli e grandi massi accatastati:  è la tipica franata.  Caratteristica  del fondale sottostante ad un capo prominente che sprofonda nel blu, ma soprattutto dei fondali vulcanici, vedi isole Eolie, Pantelleria ecc.  E’ in assoluto il fondale più difficile da interpretare in quanto la disordinata disposizione dei massi costituisce al suo interno una miriade di cunicoli e tane passanti, dove i pesci  compiono lunghi tragitti, al sicuro, prima di riuscire da un’altra apertura e che spesso si prendono gioco del pescatore.  Qui, la tecnica da effettuare, più che una vera e propria pesca in tana, è da considerarsi un mix di aspetto-agguato-tana-tiro al volo! Gli  “inquilini”  tipici sono  cernie, saraghi (anche pizzuti, a volte) e corvine.  In questo tipo di fondale uno dei maestri più rappresentativi  è sicuramente il grande Riccardo Molteni, che alle Eolie e nel Canale di Sicilia realizza carnieri d’altri tempi.

4) Tane composte da blocchi artificiali di forma quadrata o tripodi:  in genere sono collocati a protezione di porti, spiagge, ferrovie ecc. Qui, la difficoltà è un pò come la franata ma con l’aiuto dato, nel 90% dei casi, dalla bassa profondità. Purtroppo in questi siti la visibilità è spesso precaria, tant’è che spesso conviene pescare all’aspetto; ma se in inverno dovessimo trovare l’acqua pulita e il mare calmo, potremmo avere all’interno dei blocchi, la fortuna di incontrare lo spigolone da infarto! Le barriere artificiali, che possono essere  soffolte o affioranti,  sono colonizzate spesso anche dai cefali e non di rado è capitato a molti sub che  prima di riemergere, completata  l’esplorazione in tana, si sono ritrovati faccia a faccia con una  leccia di 20 Kg!

Riguardo la tecnica, entrando un pò più nei dettagli, dobbiamo analizzare diverse fasi:

LA DISCESA:  se la tana si trova ad una certa profondità, i primi metri potranno essere percorsi anche in modo energico, ma arrivati in prossimità della tana è   importantissimo arrivare nel massimo silenzio.  Ricordiamoci sempre che i pesci ci  “sentono”  tramite la linea laterale anche se non ci vedono direttamente.  Arrivare sulla tana velocemente, magari a causa di una zavorra eccessiva o sbattere il fucile o la cintura dei piombi sulle rocce, equivale a vanificare tutto.

L’AVVICINAMENTO ALLA TANA:  Con un pò di allenamento e di abitudine (io ci ho messo un pò di tempo…) è preferibile affacciarsi alla tana a testa in giù, in modo da non mostrare la nostra figura intera ai pesci intanati, e quindi apparire molto più piccoli di ciò che in realtà siamo. All’inizio, vedere tutto al contrario, ci farà avere un pò di confusione e un leggero senso di vertigine, ma con il tempo ci si abituerà.  Per questo è sempre bene iniziare a provare a bassa profondità.  Questo tipo di approccio è indispensabile quando troviamo una fenditura (abitata), orizzontale a strettissimo contatto con il fondale. Diversamente, sarà molto difficile guardare dentro.

IL TIRO:  é assolutamente controproducente introdurre la punta del fucile prima della nostra testa. Tranne in alcuni casi fortunati di tana cieca e senza gomiti, troveremo sicuramente la tana disabitata. Il fucile và tenuto in posizione arretrata, trovandosi spesso a sparare con il pollice anzichè con l’indice, con la punta dell’asta o la fiocina paralleli ai nostri occhi.  Anche in questo ci si deve abituare ed avere un ottimo feeling con il proprio fucile.  Al contrario dell’aspetto, dove tutti i movimenti devono essere estremamente calibrati e misurati, al contrario, nella pesca in tana ( una volta individuata la preda), ci vuole massima rapidità e prontezza di riflessi: avvistare la preda e sparare deve essere un tutt’uno. Molte volte infatti, persa la prima opportunità, il pesce non ci concederà una seconda possibilità.

Quando stiamo per risalire non facciamolo mai in modo improvviso ma guardatevi intorno:  può capitare che qualche bel pesce si sia avvicinato a curiosare… inoltre non cominciamo a pinneggiare come dei forsennati, perchè se il fondale è fangoso, rischieremo di rendere il punto impraticabile per molti minuti.

Se abbiamo trovato una tana buona o una zona potenzialmente abitata e ci troviamo in condizioni di acqua torbida o di corrente sostenuta, converrà ancorare il pedagno del pallone o della plancetta poco vicino e mai in prossimità della tana.

Una raccomandazione a cui tengo particolarmente:  non sparate mai ad un pesce se non siete sicuri di poterlo recuperare, specialmente se si tratta di una cernia ad una certa profondità, la quale, se non colpita mortalmente e la tana è stretta, arroccandosi, diventa un vero e proprio tassello murario!  A parte il fatto che sarebbe un delitto lasciare  morire un pesce dentro un anfratto, magari  con  2 o 3 aste conficcate, senza poter riuscire a recuperarlo, ma fare un sali scendi, magari a 20 e più metri di profondità e senza un compagno pronto ad intervenire, potrebbe comportare rischi fatali.  Lo avrete letto sicuramente decine di volte sulle riviste specializzate, ma io vi parlo per tragica esperienza vissuta.  Ho perso un amico fraterno in questo modo, diversi anni fà.

ATTREZZATURA:

LA TORCIA:  elemento fondamentale nelle tane non passanti e quindi totalmente buie. Tuttavia appena affacciati è bene non accenderla  immediatamente, ma fare abituare gli occhi al buio, essenzialmente per due motivi: Il primo è che molti pesci hanno  ormai associato il fascio luminoso alla fucilata in arrivo, non lasciandovi quindi il tempo di premere il grilletto.  Il secondo è che spesso il pesce, che non è spaventato, staziona  in prossimità dell’ imboccatura e quindi è meglio essere sempre pronti al tiro.  Le torce di ultima generazione con tecnologia LED  hanno dalla loro un fascio luminoso molto intenso e una lunga durata delle batterie e degli stessi  LED, che non si fulminano come le normali lampadine.  Quelle alogene hanno una durata delle batterie notevolmente inferiore ma, a detta di alcuni esperti, hanno ancora una maggiore efficacia in presenza di sospensione e acqua torbida.  Non si può rinunciare alla torcia nella fase di recupero di una grossa preda arroccata.

LA MUTA:  per chi pesca prevalentemente in tana sono preferibili mute con la fodera esterna a causa dei continui sfregamenti e contatti con le rocce. Una muta in liscio esterno la ridurremmo a brandelli nel giro di pochissimo tempo.

LO SNORKEL:  deve essere assolutamente molto morbido; e non per infilare la testa, come fanno in molti, dentro buchi strettissimi,  NON FATELO ASSOLUTAMENTE MAI! Ma perchè, se fosse rigido, urtando  inavvertitamente contro una sporgenza, potrebbe scalzarvi la maschera dal viso.

IL PEDAGNO:  può essere essenzialmente di due tipi; quello classico attaccato al nostro pallone o plancetta, oppure quello vincolato  alla cintura dei piombi. All’occorrenza, in sostituzione o in mancanza di questo,  possiamo utilizzare un fucile, ovviamente corredato di mulinello, sganciando l’asta in prossimità della tana,  riportando il fucile a galla.  Il pedagno alla cintura si usa  soprattutto  quando  ci troviamo  sul fondo e, avvistato uno spacco interessante, a causa dell’acqua torbida o della corrente rischiamo di non  ritrovarlo più una volta ritornati in superficie.

I FUCILI:  riguardo la scelta fra arbalete  e  oleopneumatico  non mi dilungo, in quanto  secondo me,  la preferenza sulla tipologia del fucile  è unicamente soggettiva, in base alle proprie abitudini:  tuttavia, in base ad elementi oggettivi, è utile fare alcune considerazioni:  premesso che ci sono forti pescatori che, all’occorrenza,  riescono a pescare in tane anguste anche con un  arbalete da 90;  ma  la maneggevolezza, la versatilità, la massa dell’asta e la potenza di un corto oleopneumatico sono caratteristiche, oggettivamente, superiori.  Nel buchetto impossibile una “pistola” ad aria di soli 30 o 40 cm ( un arbalete della stessa misura nominale non avrebbe quasi nessun potere d’offesa) armato con fiocinetta MUSTAD a 4 punte, non ha rivali.  Nella tana medio-piccola un 55 ad aria ( un arbalete della stessa lunghezza nominale è lungo quanto un 70 ad aria), armato di MUSTAD  a 5 punte, o di un arpione robusto con doppia aletta, ha una versatilità unica:  se si trova il sarago da 500 grammi appoggiato alla parete di roccia o la cernia da 15 chili (di questo peso ormai rarissima, purtroppo, entro i 20 metri…) è un attimo:  con un istantaneo movimento del pollice si sposta la magica levetta del variatore di potenza!  Che l’arbalete non ha… Dove un arbalete di 60 cm, è invece perfetto, è nella pesca nelle strette e lunghe fenditure o sotto lastre di medie dimensioni, con thaitiana da 6,5 o 7 mm ed elastici di generoso diametro (18/19 mm) molto reattivi e non progressivi, per avere uno spunto di potenza iniziale consistente, vista la distanza ravvicinata a cui si spara.

SAGOLE:  i collegamenti tra asta e fucile è bene che non siano in monofilo di nylon, perchè spesso ci ritroveremo a tirare forte con le mani e il nylon scivola.  La soluzione più idonea è l’utilizzo di una  sagola da minimo 2/2,5 mm  di spessore di colore chiaro, in modo da facilitarne la visibilità con acqua torbida causata spesso dalla preda colpita e quindi poter capire meglio la posizione del pesce.  Sconsiglio l’uso di sagole in DYNEEMA per l’uso in tana, perchè, proprio per essere molto resistenti agli sfregamenti contro le rocce, in caso di emergenza, anche se il nostro coltello è un rasoio, è molto difficile reciderle in un attimo.